BATTAGLIA NAVALE

DI CAPO MATAPAN

27-29 MARZO 1941

 

Capo Matapan, la disfatta della Regia Marina davanti alla Royal Navy. E’ stata una delle battaglie navali più importanti della seconda guerra mondiale, decisiva per il dominio del Mediterraneo e il libero transito dei rifornimenti per la campagna degli alleati di terra in Africa. Lo scontro avvenne tra il 28 e il 29 marzo 1941 nelle acque a sud del Peloponneso. Alla fine emersero tutte le carenze della marina italiana. Poco poté fare il comandante della squadra navale, Ammiraglio Angelo Iachino, di fronte al suo avversario comandante della Mediterranean Fleet britannica, l’ammiraglio Andrew Cunningham. Due furono gli scontri decisivi intorno a Capo Matapan. Il primo nel tratto di mare intorno alla piccola isola di Gaudo (28 marzo), il secondo proprio a largo di Capo Matapan nella notte tra 28 e 29 marzo 1941. La Regia Marina registrò una sonora sconfitta. Inadeguati al combattimento notturno, e senza tecnologia difensiva (radar), dopo la disfatta consegnarono alla Royal Navy il dominio del Mediterraneo.

Si prepara la battaglia di Capo Matapan

I tedeschi da tempo avevano cominciato a pressare pressando il Comando superiore della Regia Marina, per un’azione più consistente di attacco nei confronti dei convogli di rifornimento britannici che da Alessandria d’Egitto e dalla Cirenaica portavano armi, mezzi e materiali in Grecia. Un ‘invito’ che divenne molto chiaro alla conferenza navale di Merano del 13 e 14 febbraio ‘41, quando l’ammiraglio Raeder accusò direttamente Supermarina di inattività, rimproverandole un atteggiamento difensivo e dimesso verso i britannici. Lo Stato Maggiore italiano si giustificò mettendo in evidenza la carenza di carburante che impediva operazioni in forze. La pressione tedesca si concretizza in un nuovo comunicato consegnato al comando italiano il 19 marzo, nel quale c’era allegata un’analisi di intelligence che sottostimava la consistenza della flotta ingleses indicando nel Mediterraneo una sola nave da battaglia (la HMS Valiant), alcuni incrociatori e poco naviglio sottile. In realtà le altre due corazzate britanniche in forza alla Mediterranean Fleet, la HMS Barham e la HMS Warspite, erano ritornate operative. Iachino ne ebbe contezza solo quando ormai era troppo tardi. Il piano di Supermarina consisteva nella predisposizione di due rapide incursioni offensive, una a nord e una a sud di Creta, in caccia del traffico Alleato. Le navi italiane avrebbero dovuto, se in condizioni di superiorità, attaccare i convogli incontrati e la relativa scorta, ritornando poi rapidamente nelle basi nazionali. Per attuare il suddetto piano Supermarina mise in campo quasi tutte le forze disponibili: la nave da battaglia Vittorio Veneto, due divisioni di incrociatori pesanti e una di incrociatori leggeri, oltre ai cacciatorpediniere di scorta. Si puntava al fattore sorpresa, contando di lasciare le navi da combattimento nel porto di Alessandria e colpire tutti i mercantili. Ma l’intelligence inglese riuscì a intercettare i messaggi italiani che annunciavano l’operazione; in più la capacità di decrittazione di Enigma, misero i britannici in condizione di prevenire le mosse di supermarina, sospendere il traffico mercantile e predisporre l’uscita della squadra navale da Alessandria e di una divisione di incrociatori dal Pireo al comando del vice ammiraglio Pridham-Whippel. Presero il mare solo due convogli già in essere, lo AG 9 partito il 26 marzo da Alessandria alla Grecia, scortato da 2 incrociatori leggeri, HMS Calcutta e HMS Carlisle e 3 cacciatorpediniere, HMS Defender e HMS Jaguar, e HMAS Vampire, e il GA 8 partito il 29 marzo dalla Grecia ed arrivato il 31 marzo ad Alessandria, scortato dall’incrociatore antiaereo HMS Bonaventure e dai cacciatorpediniere HMS Decoy e HMS Juno che proteggevano il cargo norvegese Thermopylae. Nel frattempo la Marina puntava ad avere una scorta aerea durante l’operazione. Per questo era stato previsto l’intervento della Regia Aeronautica di base in Italia e in Egeo (isola di Rodi) e della Luftwaffe (Corpo Aereo Tedesco o X. Fliegerkorps, unità aerea forte di circa 200 bombardieri e una settantina di caccia) di base in Sicilia. L’ammiraglio Iachino fece imbarcare sulla sua ammiraglia degli ufficiali tedesco di collegamento e un gruppo di decrittazione. La marina italiana non era però attrezzata per gli scontri notturni, mentre la flotta britannica aveva fin dal 1934 affrontato questa eventualità, preparando metodologie ed equipaggi in questo senso; in particolare l’ammiraglio Cunningham aveva fatto svolgere ripetute esercitazioni alla squadra del Mediterraneo. Questa preparazione, unita al diffondersi dell’installazione di radar sulle sue unità navali (le italiane ne lo avevano), gli offriva una capacità operativa notturna ineguagliabile.

L'avvio delle operazioni: salpa la Vittorio Veneto

Alle 21:30 del 26 marzo 1941, la Vittorio Veneto lasciò il porto di Napoli con a bordo l’ammiraglio Iachino. La scorta era costituita da quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia (Granatiere, Fuciliere, Bersagliere e Alpino) e da quattro della X Squadriglia (Maestrale, Libeccio, Scirocco e Grecale) questi ultimi però eseguirono compiti di scorta antisom fino a Messina per poi rientrare in porto. Dopo lo stretto di Messina, la nave si ricongiunse al resto della squadra italiana al largo della costa orientale della Sicilia: la I Divisione Incrociatori dell’ammiraglio Carlo Cattaneo (Zara, Pola e Fiume) scortata dai quattro cacciatorpediniere della IX Squadriglia e proveniente da Taranto, la III Divisione Incrociatori dell’ammiraglio Luigi Sansonetti (Trento, Trieste e Bolzano) scortata dalle tre unità della XII Squadriglia cacciatorpediniere e salpata da Messina, e la VIII Divisione Incrociatori dell’ammiraglio Antonio Legnani (Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) accompagnata dalle due unità della XVI Squadriglia cacciatorpediniere e partita da Brindisi. Quella stessa notte, mentre la squadra italiana era in navigazione alla volta delle acque di Creta, un’unità della Xª Flottiglia MAS mise in atto un audace attacco alla Baia di Suda, importante punto di ancoraggio per le navi Alleate: superando le ostruzioni, sei barchini esplosivi italiani attaccarono e affondarono l’incrociatore pesante HMS York (l’unica unità di questo tipo in quel momento a disposizione di Cunningham nell’area) e una petroliera. La mattina del 27 marzo, mentre nessun aereo tedesco faceva da scorta alla squadra italiana, il Trieste (che navigava in testa alla formazione) segnalò a Iachino di aver avvistato un idrovolante britannico Sunderland da ricognizione a lungo raggio; poco dopo, la squadra da decrittazione imbarcata sulla Vittorio Veneto intercettò il messaggio del ricognitore, il quale segnalava al comando di Alessandria di aver avvistato «tre incrociatori e un cacciatorpediniere al largo di Capo Passero». Il ricognitore aveva individuato solo una piccola parte della squadra italiana, oltretutto sbagliando nello stimare la rotta e la velocità della formazione. Per questo Supermarina confermò l’operazione seppure con qualche piccola variante, ordinando che tutta la squadra dovesse riunirsi la mattina successiva nei pressi dell’isolotto di Gaudo per attaccare il traffico nemico a sud di Creta, cancellando l’operazione a nord dell’isola. Per il meteo sfavorevole venne cancellata la ricognizione aerea su Alessandria lasciando l’ammiraglio Iachino all’oscuro delle intenzioni della Mediterranean Fleet, partita nella notte da Alessandria. L’avvistamento da parte del Sunderland tuttavia, confermò agli inglesi quanto già indicato dall’intelligence che aveva decrittato i messaggi di Enigma. A quel punto Cunningham dirottò i convogli mercantili e fece muovere la sua Force A, composta dalle tre corazzate HMS Warspite, HMS Barham e HMS Valiant, dalla portaerei HMS Formidable e da nove cacciatorpediniere. La Force A salpò da Alessandria alle 19 del 27 marzo; contemporaneamente, dal porto greco del Pireo muoveva la Force B dell’ammiraglio Pridham-Wippell, forte di quattro incrociatori leggeri e altrettanti cacciatorpediniere, alla quale Cunningham aveva dato appuntamento per la mattina successiva nei pressi dell’isoletta di Gaudo.

Il capolavoro di Alan Touring: decrittare Enigma

Gli inglesi sapevano perfettamente dove fosse diretta la flotta italiana. Una strana coincidenza, che diede adito, nel dopoguerra, a diverse speculazioni sulla presenza di informatori dei britannici in seno a Supermarina, quando non proprio ad accuse di tradimento nei confronti degli alti ufficiali della Marina; la questione venne risolta solo nel 1975, quando i britannici resero pubblico il sistema di decrittazione di Enigma. Con mare calmo e buona visibilità, la mattina del 28 marzo la flotta italiana giunse nelle acque di Gaudo divisa in tre raggruppamenti: la III Divisione incrociatori di Sansonetti in testa, la I Divisione incrociatori di Cattaneo in coda, e la Vittorio Veneto più o meno al centro della formazione italiana, che si estendeva per molte miglia. Dalle catapulte si alzarono in volo due idrovolanti RO.43, l’obiettivo era avvistare la flotta nemica. Ma c’era anche una mezza idea, nel caso in cui l’avvistamento fosse stato negativo, di tornare indietro. La seconda ipotesi fu scartata a fronte dell’avvistamento della Force B di Pridham-Whippel; il ricognitore italiano poté così fornire all’ammiraglio Iachino dettagliate informazioni sulla composizione, rotta e velocità della formazione nemica. L’ammiraglio ordinò alla III Divisione di Sansonetti di accelerare a 30 nodi e di serrare le distanze con gli incrociatori britannici. Ma anche i ricognitori inglesi decollati dal Formidable si alzarono in volo ed entrarono in contatto visivo con gli incrociatori italiani.

La battaglia di Gaudo

La battaglia iniziò quando gli incrociatori di Sansonetti aprirono il fuoco sulle navi britanniche di Pridham-Wippell, che erano a circa 24 chilometri. Era la mattina del 28 marzo. I cannoni italiani da 203 mm garantivano una maggiore gittata rispetto ai pezzi inglesi da 152 mm; passarono minuti prima che l’incrociatore HMS Gloucester fosse a portata di tiro e potè rispondere al fuoco. Neanche gli italiani riuscirono a mettere a segno alcun colpo. Non ci riuscirono neanche più tardi, quando la Vittorio Veneto riuscì a compiere una manovra di accerchiamento per stringere in trappola la Force B. Misero le navi inglesi alle strette, spararono 94 colpi in 22 minuti senza mai centrare i bersagli. Cunningham, informato dello scontro, era troppo lontano per intervenire direttamente, ma fece alzare dalla Formidable un gruppo di sei aerosiluranti Fairey Albacore, con il compito di attaccare l’ammiraglia italiana; gli aerosiluranti furono fermati dalla contraerea italiana, che li obbligò a lanciare da una distanza troppo elevata. L’ammiraglia italina schivò tutti i siluri, ma le azioni evasive costrinsero a sospendere l’azione di attacco in corso. Con le navi di Pridham-Wippell ormai lontane, il carburante che cominciava a scarseggiare, e l’assenza della copertura aerea, Iachino diede ordine di invertire la rotta e rientrare alla base con direzione nord-ovest.

Capo Matapan

Anche l’ammiraglio Pridham-Wippell rinunciò a mantenere il contatto visivo con gli italiani. Tornò verso l’ammiraglia, in modo da consegnare a Cunningham una forza navale riunita. La squadra di Iachino stava tornando a tutto vapore verso le basi, l’ammiraglio Cunningham decise di scatenare una serie di attacchi aerei sulla squadra italiana, condotti sia dagli aerosiluranti della Formidable sia dai bombardieri della Royal Air Force e della marina britannica decollati dagli aeroporti greci. Al terzo tentativo contro la Vittorio Veneto cinque aerosiluranti (tre Albacore e due Fairey Swordfish) della Formidable, scortati da alcuni caccia ed appoggiati dai bombardieri Bristol Blenheim della RAF, si avvicinarono alla corazzata. Mentre i caccia si buttavano in picchiata sulla corazzata per distrarre la contraerea, i tre Albacore si disposero a ventaglio davanti alla prua della nave per lanciare un attacco da più direzioni; l’apparecchio del capitano di corvetta Dalyell-Stead riuscì ad avvicinarsi a meno di 1.000 m dalla nave prima di lanciare il suo siluro. Venne abbattuto subito dopo ma il siluro strusciò contro la prua ed esplose a poppa all’altezza dell’elica sinistra]. Per sei minuti la nave rimase immobile, poi riuscì a rimettere in funzione le macchine e a procedere guidata dal timone a mano. Riprese la rotta con velocità ridotta; adesso l’obiettivo era mettere in salvo la nave. Iachino fece disporre il resto della squadra a protezione della sua ammiraglia. Gli inglesi si stavano avvicinando, Cunningham decise di accettare i rischi di un combattimento notturno e, dopo aver ordinato ulteriori attacchi aerei sulle navi italiane, continuò l’inseguimento. Sul crepuscolo gli aerosiluranti della Formidable e i bombardieri della Raf tornarono in azione danneggiando pesantemente l’incrociatore Pola, che era rimasto indietro rispetto alla formazione. I danni erano pesanti: l’ordigno era esploso all’altezza del locale caldaie numero 3 e delle turbine di sinistra, uccidendo tutti i fuochisti e i meccanici che si trovavano in quel punto, mettendo subito fuori uso quattro delle otto caldaie e distruggendo le tubazioni del vapore di altre due, facendo imbarcare all’incrociatore 3.500 t d’acqua. La nave era immobile, praticamente alla deriva. Non aveva energia elettrica e per questo le torri non avevano brandeggio. Un’ora dopo il siluramento del Pola, gli incrociatori Zara e Fiume, seguiti dai cacciatorpediniere Vittorio Alfieri, Giosuè Carducci, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti, invertirono la rotta e, separandosi dal resto della squadra, procedettero in soccorso alla nave danneggiata. Quell’inversione di rotta da parte degli incrociatori della I Divisione fu il punto di svolta della battaglia Cunningham era stato informato dagli aviatori che una corazzata classe Littorio era stata probabilmente colpita; decise di inviare in avanti gli incrociatori di Pridham-Wippell per prendere contatto con il nemico. Pridham-Wippell al crepuscolo individuò il Pola immobile grazie ai radar installati sull’Orion e sull’Ajax, ma si limitò a segnalarne la posizione a Cunningham e procedette oltre. Alle 22:20 il radar della Valiant (unica corazzata britannica a disporre di simile apparecchiatura) rilevò il relitto immobile del Pola, che tutti continuavano a ritenere la corazzata classe Littorio rimasta danneggiata nei precedenti raid aerei; poi furono avvistati gli incrociatori di Cattaneo, che, ignari della vicinanza della squadra britannica, continuavano a procedere tranquillamente verso il Pola, senza tenere i cannoni in posizione di sparo; Cunningham ordinò subito un’accostata a destra delle sue corazzate e si dispose parallelamente alla squadra italiana, in posizione ottimale per bersagliarle con i suoi grossi calibri. Alle 22:27 una tempesta di fuoco si abbatté sulle navi di Cattaneo: in tre minuti, sullo Zara caddero quattro salve della Warspite, cinque salve della Valiant e quattro della Barham, mentre il Fiume venne centrato da due salve della Warspite e una della Valiant; le due navi vennero ben presto ridotte a relitti in fiamme, senza aver nemmeno avuto la possibilità di reagire all’attacco. Poi fu la volta dei cacciatorpediniere italiani che seguivano gli incrociatori: l’Alfieri venne quasi subito colpito; il Carducci cercò di stendere una cortina fumogena per proteggere le altre unità, ma anch’esso venne ben presto ridotto ad un relitto in fiamme. Solo l’Oriani e il Gioberti riuscirono a sottrarsi dal tiro britannico e ad allontanarsi protetti dall’oscurità, anche se il primo riportò gravi danni. Mentre Iachino e il resto della flotta, ormai irraggiungibili, stavano tornando indietro, Cunningham dette ordine di affondare il Pola. L’equipaggio venne tratto in salvo e fatto prigioniero dagli inglesi del cacciatorpediniere Jervis. Nelle ore successive e fino alla mattina seguente, le unità britanniche incrociarono nella zona dello scontro per portare soccorso ai numerosi naufraghi italiani, riuscendo a recuperarne circa 900; intorno alle 11:00 del 29 marzo, tuttavia, un ricognitore tedesco avvistò la squadra britannica e Cunningham, per evitare attacchi aerei sulle sue navi, dette ordine di sospendere le operazioni di soccorso e di rientrare alla base. Nell’abbandonare la zona Cunningham inviò un messaggio radio in chiaro diretto al capo di stato maggiore italiano Riccardi, con le coordinate dei naufraghi ancora in mare, invitandolo a mandare sul posto una nave ospedale; Riccardi rispose ringraziando l’ammiraglio britannico per il gesto cavalleresco e lo informò di aver inviato in zona la nave ospedale Gradisca. Questa, giunse sul posto solo il 31 marzo, trovando migliaia di marinai italiani ormai cadaveri; 147 marinai e 13 ufficiali superstiti, ancora in vita, furono comunque tratti a bordo. La sconfitta era stata sonora: tre incrociatori pesanti e due cacciatorpediniere italiani erano stati affondati, mentre una corazzata e un cacciatorpediniere erano stati danneggiati. I britannici recuperarono come naufraghi 55 ufficiali e 850 marinai italiani, oltre ai 22 ufficiali e 236 uomini presi a bordo dal Pola; i morti italiani furono in tutto 2.331

Regia Marina

Comandante superiore in mare - Ammiraglio di Divisione Angelo Iachino (sulla Vittorio Veneto):
Nave da Battaglia: Vittorio Veneto (nave ammiraglia)
I Divisione Incrociatori: Zara, Pola e Fiume;
III Divisione Incrociatori: Trieste, Trento e Bolzano;
VIII Divisione Incrociatori: Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi;
IX Squadriglia Cacciatorpedinieri: Vittorio Alfieri, Giosuè Carducci, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti;
XII Squadriglia Cacciatorpedinieri: Corazziere, Carabiniere e Ascari;
XIII Squadriglia Cacciatorpedinieri: Granatiere, Fuciliere, Bersagliere e Alpino;
XVI Squadriglia Cacciatorpedinieri: Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno

R E G O L A M E N T O

L'award delle "Battaglie Navali" rientra tra gli award permanenti del Regia Marina.
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Per ricevere gratuitamente l'award della "Battaglia Navale di Matapani ed in formato grafico, bisogna contattare  almeno tre delle stazioni Jolly di seguito elencate:

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